La contrada Regazzoni si apre a sud, come un’ampia vallata, quasi circolare, nella propaggine orientale dei Colli Euganei, tra i comuni di Galzignano Terme, Torreglia e Montegrotto Terme, contornata dai Monti: Cimisella, delle Motte, Alto (localmente detto Soiva), Trevisan, Oliveto, Ceva, Castellone e Spinefrasse. L’abitato non si presenta come un vero proprio borgo, ma con un piccolo nucleo di case ai piedi del M. Cimesella che si dirada, man mano, con abitazioni, circondate dai vigneti, sparse lungo le vie. Di alcune costruzioni spicca ancora la caratteristica forma allungata. Sono ciò che resta delle “Corte”, edifici collettivi popolati da varie famiglie che vivevano separatamente, ma solitamente imparentate tra loro, con l’ingresso dell’abitazione che dava in un cortile comune, dove, alla sera, la gente, ancora fino a cinquant’anni fa, si radunava per il filò. Nei filò a Regazzoni non si raccontava alcuna storia di patrizi e di signori, ma storie vere della vita della gente comune, alcune che raccontavano episodi davvero eroici, purtroppo, mai da nessuno organicamente elaborate e che ora, con la scomparsa dei Vecchi, sfumano sempre più nel vago della leggenda. Regazzoni è dura, arida e avara, con la terra strappata al monte palmo a palmo, inquieta, tormentata per secoli dalle frane, dove l’unica alternativa al poco fruttuoso lavoro nei campi era il massacrante mestiere dello spaccapietre o dello scalpellino nelle cave. Era un angolo così remoto al punto che, ancora fino agli Anni Trenta del Novecento, le strade erano malsicure per la presenza dei briganti. Alcune persone molto anziane ancora testimoniano nel Caltofondo, il tratto di Regazzoni in Comune di Torreglia, rapine ai danni dei viandanti che si inoltravano nella ripida stradina che attraversava in bosco. Quella dei briganti è, infatti, una costante nei ricordi della gente della vallata. È ormai scomparso nel dire comune, ma è ancora noto il detto, rivolto a un bambino molto vivace: “Te si come Stea”. Il riferimento dell’adagio è a Giovanni Stella un famoso bandito, giustiziato nel 1812, che, a cavallo tra Settecento e Ottocento, aveva fatto teatro delle sue gesta il territorio di Montegrotto, Regazzoni e Galzignano. La particolarità e l’isolamento del luogo erano sottolineati anche con il termine “busa” con un’accezione in cui la “Busa dei Regazzoni”, nel modo di dire degli abitanti delle contrade e dei paesi vicini, non rievocava esclusivamente la morfologia del territorio, ma sottolineava il “buco” cioè la separazione e la diversità. È noto che non fosse permesso ai forestieri di cercare moglie a Regazzoni. I pochi temerari che tentavano approcci amorosi venivano prima intimoriti con varie minacce e, se ostinati, cacciati a bastonate.
Non ci sono epopee che rendono “nobili e belle” le vicende passate di Regazzoni e neppure gli archivi offrono un grande ausilio allo studioso che voglia trovare ragioni per una riscoperta della sua storia. Di “bello” a Regazzoni c’è, però, la natura ed è in primavera che essa mostra tutto il suo incanto. Fausto è il giorno di chi, da Montegrotto, arriva dal passo di Turri in aprile. Al suo occhio si apre una visione che regala emozioni che restano nell’anima. Il bianco dei ciliegi in fiore rende attonito anche lo sguardo del cittadino più distratto. Una volta penetrati in quel candore, di Regazzoni non ci si può più dimenticare.
I colori dei campi sfumano appena sotto le zone più impervie dei rilievi dove, nei versanti soleggiati, fittissimi boschi di erica arborea e di corbezzolo, punteggiati da piccoli nuclei di leccio e roverella, modellano amplissime macchie sempreverdi, assolutamente atipiche nel paesaggio collinare veneto, solitamente caratterizzato dalla dominanza di foreste decidue. Ed è qui che l’ambiente si annuncia intimamente svelando una “biodiversità” davvero straordinaria, che, nel Veneto, trova pochi paragoni. Agire per conservare l’ambiente naturale a Regazzoni è un contributo a nobilitare la storia di questo antico e modesto angolo di mondo.