Skip to main content

Ecco alcuni sentieri consigliati:

M. Cimisella – M. Delle Motte – M. Delle Valli – M. Zogo.

Passeggiata panoramica tra i boschi termofili a dominanza di erica arborea e corbezzolo e i castagneti freschi insediati su vulcaniti acide da cui si originano piccole zone umide alle pendici. Il percorso si articola, in particolare, nella parte sommitale con un’incantevole vista sulla zona meridionale dei Colli e su quella settentrionale e con, in lontananza, i Colli Berici e le Prealpi Vicentine. Il tragitto non presenta alcuna difficoltà di percorrenza.

Flora. Selezione delle specie notevoli. Cisto femmina (Cistus salvifolius), erica arborea (Erica arborea), corbezzolo (Arbutus unedo), sorbo domestico (Sorbus domestica), laserpizio pimpinellino (Laserpitium prutenicum), scotano (Cotinus coggygria), Ipocisto (Cytinus hypocistis), felce aculeata (Polystichum aculeatum), felce pelosa (Dryopteris borreri), salice dell’Appennino (Salix apennina), melo selvatico (Malus sylvestris), leccio (Quercus ilex), erba di S. Giovanni arbustiva (Hypericum androsaemum), lino delle fate minore: unica stazione del Veneto (Achnatherum bromoides), carvifoglio palustre (Selinum carvifolia), cinquefoglia fragolaccia (Potentilla rupestris), dittamo (Dictamnus albus), robbia selvatica (Rubia peregrina), campanelle comuni (Leucojum vernum), faggio (Fagus sylvatica), capellini delle torbiere (Agrostis canina), spergularia comune (Spergularia rubra), dente di cane (Erythronium dens-canis), doronico medicinale: unica stazione del Triveneto (Doronicum pardalianches), isopiro comune (Isopyrum thalictroides), platantera verdastra (Platanthera chlorantha).

Funghi. Durante la tarda estate e l’inizio dell’autunno gli appassionati di funghi possono andare, non raramente con successo, alla ricerca (previo permesso) di ovoli (Amanita caesarea) e porcini neri (Boletus aereus).

Fauna. Uccelli. È accertata in zona ormai da vari anni la nidificazione del falco pellegrino (Peregrinus falcus). Rettili. È accertata la presenza del ramarro (Lacerta bilineata) e di alcuni serpentelli innocui: il colubro di Esculapio (Zamenis longissima), il colubro liscio (Coronella austriaca) e il biacco (Hierophis viridiflavus). Mammiferi. Sono presenti, tra le specie più note, il ghiro (Glis glis), il moscardino (Moscardinus avellanarius), la faina (Martes foina), il riccio (Erinaceus europaeus), la lepre (Lepus europaeus), la volpe (Vulpes vulpes) e, introdotto di recente, il cinghiale (Sus scrofa).

Mountain bike. Per gli appassionati di mountain bike il precorso si presenta come uno dei migliori dei Colli Euganei.

Leggende. Da vistare nel tratto sommitale del sentiero La Carega del Diavolo, un masso a strapiombo con vista panoramica, su cui, un tempo, i vecchi, complice il nettare di Bacco, vedevano seduto il Maligno. Raggiunto il Monte Zogo l’escursione può proseguire verso la parte centrale dei Colli e in particolare verso il M. Siesa e il M. Rua.

Da vedere: “El moraro in Corte de (Ola)”

Giunti al passo che traccia il confine tra Galzigano e Torreglia a Regazzoni alta si osserva sulla desta un vecchio fabbricato. Girando per la “corte” e arrivati davanti a un edificio moderno si osserva un vetustissimo gelso capitozzato (a Regazzoni si praticava come modesta fonte di reddito la bachicoltura). Il gelso è sicuramente ultracentenario; dice qualche anziano del avesse il tronco delle dimensioni attuali anche settant’anni fa. Ai sui rami, un tempo, venivano appesi i maiali da macellare.

Da vedere: “El posso de O(l)a”

Poco dietro l’abitazione, davanti a cui c’e il gelso, passando per la strada che conduce a Torreglia, si nota un vecchio pozzo con il rialzo in pietra, chiuso da una grata; viene difficile pensare che prima dell’arrivo dell’acquedotto, avvenuta nel 1969, quel pozzo servisse da approvvigionamento idrico per decine di famiglie.

Nella zona di Regazzoni, essendo, in varie parti, a causa della modesta altezza dei rilievi, gli impluvi molto meno ampi che non in altre zone dei colli, l’accumulo idrico sotto le coltri detritiche o marnose è molto scarso. Di conseguenza, dove ciò avviene, le fonti, durante le estati particolarmente siccitose, si esauriscono. Nelle zone più aride, come quella del Passo, rimanendo a secco i pozzi, d’estate occorreva, per chi abitava in zona, fare lunghi e faticosi tragitti con secchi e bilancieri per procurarsi l’acqua al piano. Ciò provocava notevoli disagi sul piano soprattutto igienico. Esasperati per alcune estati particolarmente secche, notata una zona di ristagno superficiale alle pendici del M. Alto, tutte le famiglie del luogo decisero di associarsi per scavare un pozzo nella convinzione che bastasse scendere di pochi metri per trovare l’acqua. Iniziato lo scavo, la delusione fu cocente, tanto che, raggiunti gli otto metri di profondità, nella marna, pur molto umida, di rivoli d’acqua non c’era traccia. Al decimo metro, quando le speranze di incontrare la falda acquifera si erano quasi esaurite, improvvisamente l’acqua sgorgò abbondantissima e improvvisa. Sul fondo del pozzo a riempire i secchi di terra di scavo c’era il diciannovenne Giulio, il futuro “Bigolaro”. Per venticinque anni, tranne che in qualche estate particolarmente asciutta, il pozzo riuscì a soddisfare le esigenze idriche, ovviamente modestissime rispetto a quelle attuali, di tutte le famiglie del luogo.

M. Siesa – Castelletto – Strada della Commenda – Rio Malo – Vallorto – M.Rua – Pianzio.

La vegetazione è simile a quella del primo tratto ma l’elevazione del M. Rua e la maggiore quantità di zone umide e i rii perenni favoriscono la presenza di alcune specie di pregio per l’area collinare non presenti nella propaggine orientale. L’itinerario si snoda tra i comuni di Galzignano e Torreglia con una vista che abbraccia gran parte dei Colli.

Flora: Selezione delle specie notevoli. Cipollaccio involucrato (Gagea spathacea): specie di notevole rarità in Italia presente solo in Emilia Romagna, in Friuli Venezia Giulia e in Veneto, scoperta, oltre un secolo fa, da Adriano Fiori proprio sul M. Rua, felce florida (Osmunda regalis ): specie presente nell’Italia nord orientale solo sugli Euganei, senecione di Fuchs (Senecio ovatus s.l.), acetosella (Oxalis acetosella), betulla (Betula pendula), faggio (Fagus sylvatica), erba sega maggiore (Lycopus exaltatus), garofanino maggiore (Epilobium angustifolium), spergularia comune (Spergularia rubra), erba di S. Giovanni arbustiva (Hypericum androsaemum), aquilegia comune (Aquilegia vulgaris): unica stazione del Veneto, mirtillo nero (Vaccinium myrtillus), billeri flessuoso (Cardamine flexuosa), campanelle comuni (Leucojum vernum), imperatoria finocchio porcino (Peucedanum officinale), malva alcea (Malva alcea), silene a fiori verdastri (Silene viridiflora), carice pallottolina (Carex pilulifera), erba cucco (Cucubalus baccifer), felce certosina (Dryopteris carthusiana), cicuta aglina (Aethusa cynapium), trifoglio alpestre (Trifolium alpestre), centocchio gramignola (Stellaria graminea), orchidea omiciattolo (Orchis simia), pallone di maggio (Viburnum opulus), orchidea macchiata (Dactylorhiza maculata subsp. fuchsii), ipocisto (Cytinus hypocistis).

Tra le specie non indigene sono da menzionare il narciso trombone (Narcyssus pseudonarcyssus), il ribes rosso (Ribes rubrum) e il tasso (Taxus baccata).

Funghi: Anche in questa parte dei Colli i boschi sono adatti alla ricerca di ovoli e porcini neri.

Architettura: Da visitare sulla vetta del M. Rua è l’Eremo Camaldolese, un grande complesso che ospita ancor oggi una decina di monaci. Fondato probabilmente durante la prima metà del Trecento venne interamente ricostruito durante il XVI secolo. Soppresso da Napoleone nel 1810, fu riacquistato dai monaci poco prima della fine della dominazione austriaca. Da allora una comunità monastica ha occupato il luogo senza interruzione.

Da conoscere, in zona Pianzio, tra le pendici orientali del M. Rua e il M. Siesa è il Roccolo Bonato. Il roccolo, attivo per la cattura degli uccelli fino agli Anni Sessanta dello scorso secolo è stato di recente perfettamente restaurato.

Mountain bike: Si possono percorrere vari itinerari, tutti di notevole interesse.

M. Alto di Torreglia. M.Trevisan, M. Alto di Montegrotto, M.Oliveto.

Percorso panoramico con vista sui Berici, sulle Prealpi e sulla pianura padovana, con una vegetazione prevalentemente acidofila a dominanza di erica arborea e corbezzolo nei versanti caldi e di castagno in quelli freschi. Si differenzia, però, per la presenza, a nord, di una zona con aree umide dove domina il carpino bianco con inclusioni di frassino ossifillo e farnia e, a sud, di una zona con substrato sedimentario dove prevale il bosco di roverella e carpino nero. In vari punti sono presenti boschi di robinia, insediati soprattutto nei luoghi in cui sono state abbandonate le coltivazioni.

Flora: Selezione delle specie vegetali notevoli. Carice di olbia: entità, a nord del Po, presente solo sugli Euganei (Carex olbiensis), codino (Gastridium phleoides), salcerella erba-portula (Peplis portula), frassino meridionale (Fraxinus angustifolia subsp. oxycarpa), centonchio minore (Anagallis minima), gipsofila minuta (Gypsophila muralis), trifoglio aureo (Trifolium aureum), fieno greco selvatico (Trigonella gladiata), cipollaccio dei campi (Gagea villosa), cipollaccio stellato (Gagea lutea), felce certosina (Dryopteris carthusiana), salice dell’Appennino (Salix apennina), astro spillo d’oro (Aster lynosiris), sparviere (Hieracium grovesianum), verbasco porporino (Verbascum phoeniceum), canapicchia palustre (Gnaphalium uliginosum), nebbia maggiore (Aira caryophyllea), nebbia minore (Aira elegantissima), salicaria a foglie d’issopo (Lythrum hyssopifolia), poligono minore (Persicaria minor), orchidea maggiore (Orchis purpurea), veccia dei Kassubi (Vicia kassubica), altea ispida (Althaea hirsuta), cefalantera comune (Cephalanthera longifolia), ginestrino sottile (Lotus angustissimus), ononide piccina (Ononis pusilla), ononide reclinata (Ononis reclinata), pallone di maggio (Viburnum opulus), geranio lucido (Geranium lucidum), (Dryopteris dilatata), pisello selvatico (Pisus biflorus), grattalingua comune (Reichardia picroides), campanula bienne (Campanula bononiensis), ranunculino muschiato (Adoxa moschatellina), fico d’India nano (Opuntia humifusa), viola selvatica (Viola canina subsp. ruppii). Fauna.

Anfibi: Sono presenti nelle pozze a nord del M. Trevisan alcune colonie di ululone dal ventre giallo (Bombina variegata), mentre in una in un piccolo invaso sotto a una sorgente è presente il tritone alpestre (Triturus alpestris). Non rare sono la rana agile (Rana dalmatina) e la salamandra pezzata (Salamandra salamandra).

Rettili: È accertata in zona la presenza dell’aspide (Vipera aspis), ma non ci sono mai stati casi di avvelenamento.

Uccelli: È nota in zona la presenza del codirosso (Phoenicurus phoenicurus).

Geologia: Sono da visitare la ex cava di latite detta Cava Calton e la Cava di Perlite, siti dove è possibile trovare alcuni minerali rari sui Colli Euganei, tra cui il quarzo ametista e il calcedonio in forma mammellare.

Funghi: La zona è ricca di specie fungine e adatta alla ricerca di ovoli e porcini neri.

Architettura: Da visitare, alle pendici orientali del M. Alto, Villa Draghi, un complesso residenziale, dallo stile eclettico, costruito intorno alla metà IXX Secolo su un precedente edificio settecentesco. Dalle sommità del Monte Alto e del M. Oliveto sono chiaramente visibili i resti di una fortificazione medievale detta Torre al Lago, che all’inizio dell’Ottocento divenne rifugio della banda del famoso Brigante Stella. Sempre dalle due sommità e facile osservare la sulla vetta del M. Castello un torre ottocentesca detta, per le suggestioni evocate dalla famosa leggenda popolare, “Torre di Berta”.

Mountain bike. Il sentiero è di facile percorrenza e, in vari tratti, si rivela adatto anche agli appassionati poco esperti.

Di notevole interesse, ai piedi delle alture, è la zona dei Palù, la piana attraversata dal Rio Spinoso, tra l’agro di Torreglia e quello di Montegrotto Terme.

I Palù corrispondono alla zona pedemontana di bonifica, estesa a Nord della dorsale collinare che dal M. Siesa si protende fino alle pendici settentrionali del M. Alto. L’area presenta alcune zone depresse, vari canaletti, fossati di scolo e vari stagni artificiali originati dalle escavazioni di argilla per le fornaci di laterizi presenti in passato in zona (le più grandi erano quelle di proprietà di Giovanni Battista Menegnini l’industriale veneto balzato agli onori della cronaca rosa nel Secondo Dopoguerra al momento del suo incontro con la cantante lirica Anna Maria Sophia Kalogheròpoulos nota con il nome d’arte di Maria Callas). La piana, ora purtroppo sottoposta a una fortissima pressione antropica con una inarrestabile espansione degli abitati, presenta un elevato valore naturalistico, soprattutto per la presenza di varie specie caratteristiche dei luoghi umidi, che vedono una forte riduzione degli habitat adatti al loro insediamento in tutta la Pianura Veneta. Sono da menzionare, tra esse, le seguenti entità, alcune molto rare nel Padovano (in grassetto nel testo): il trifoglio acquatico (Marsilea quadrifonia), l’euforbia lattaiola (Euphorbia palustris), il tarassaco palustre (Taraxacum tenuifolium), il ranunculo a foglie capillari (Ranunculus trichophyllus), le campanelle maggiori (Leucojum aestivum), la sagittaria comune (Sagittaria sagittifolia), la porracchia dei fossi (Ludwigia palustris), il lino purgativo (Linum catharticum), il carvifoglio palustre (Selinum carvifolia), il centauro elegante (Centurium pulchellum), il dente di leone di lesse (Leontodon saxatilis subsp. saxatilis), la ninfea comune (Nymphaea alba), la coda di topo arrossata (Alopecurus aequalis), il pallone di maggio (Viburnum opulus), la gamberaja polimorfa (Callitriche cophocarpa), la mestolaccia lanceolata (Alisma lanceolatum), il salice da ceste (Salix triandra subsp. amygdalina), il salice purpureo (Salix pupurea), la carice canuta (Carex tomentosa), la carice a spighe distanziate (Carex distans) e il poligono anfibio (Persicaria amphibia).

Fauna: Anfibi. Nella stessa zona è stata di recente accertata la presenza (inedita) del raro anfibio pelobate fosco italiano (Pelobates fuscus).

Rettili: Rara, ma osservata anche di recente, è la testuggine palustre d’acqua dolce (Emys orbicularis), mentre frequente è la natrice dal collare (Natrix natrix).

Raggiunto il Passo di Turri l’escursione può proseguire verso il gruppo del M.Ceva.

M. Ceva, M. Nuovo, M. Spinefrasse, M. Croce, M. Castellone.

Percorso di straordinario interesse naturalistico, all’interno di boschi e di aree rupestri con una flora e una vegetazione uniche nel Settentrione. Il sito, caratterizzato da una mediterraneità che non trova riscontri in alcun altro luogo dell’entroterra veneto, per la sua particolarità, è da considerare come uno dei più interessanti d’Italia. L’itinerario si articola tra zone con substrato a prevalenza di vulcaniti acide (riolite) e zone con substrato a prevalenza di vulcaniti basiche (latite), dove le differenze tra le tipologie vegetazionali sono nettissime. Si passa, nel giro di qualche metro, dai boschi di erica arborea, leccio e corbezzolo, ai boschi di roverella che sfumano, nelle aree con suolo poco profondo, in cespuglieti termofili a dominanza di spina di Cristo, intercalati a pratelli assolati, fino ad arrivare alla parte sommitale, dove emergono alte rupi impervie, popolate da una fittissima vegetazione casmofila con varie specie di borracine e il semprevivo ragnateloso (Sempervivum arachnoideum). Notevolissima è anche la flora delle zone umide del versante settentrionale dove crescono entità molto rare nel Distretto Euganeo, tra cui una qui esclusiva: l’elleborine palustre (Epipactis palustris).

Dalla vetta del M. Ceva, durante le giornate limpide, è possibile vedere nitidamente la costa adriatica e l’Appennino bolognese.

Flora: Selezione delle specie vegetali notevoli. Speronella lacerata (Delphinium fissum), trifoglio sotterraneo (Trifolium subterraneum), trifoglio pallido (Trifolium pallidum), carice di Olbia (Carex olbiensis), carice scirpina (Carex divisa), carice impoverita (Carex depauperata), colombina solida (Corydalis solida), scrofularia gialla (Scrophularia vernalis), felcetta annuale (Anogramma leptophylla), asplenio settentrionale (Aplenium septentrionale), felcetta pelosa (Notholaena marantae subsp. marantae), selaginella elvetica (Selaginella helvetica), ofioglosso comune (Ophyoglossum vulgatum), aglio di Sardegna (Allium sardoum), serapide comune (Serapias vomeracea), viticcini autunnali (Spiranthes spiralis), fiordaliso giallo (Centaurea solstitialis subsp. solstitialis), speronella fior-cappuccio (Consolida ajacis), menta pulegio (Mentha pulegium), silene otite (Silene otites subsp. pseudotites), orchidea maschio (Orchis mascula) orchidea omiciattolo Orchis simia), giglio caprino (Anacamptis morio), lino selvatico (Linum bienne), ipocisto (Cytinus hypocistis), berteroa comune (Berteroa incana), orchidea farfalla (Anacamptis papilionacea), cicerchia pallida (Lathyrus annuus), orchidea acquatica (Anacamptis laxiflora), perpetuini piccoli (Xeranthemum cylindraceum), costolina liscia (Hypochaeris grabra), tulipano dei campi (Tulipa sylvestris), elleborine palustre (Epipactis palustris), cefalantera bianca (Cephalanthera bifolia), semprevivo ragnateloso (Sempervivum arachnoideum), codino (Gastridium phleoides), tiglio selvatico (Tilia cordata), setolina (Psilurus incurvus), borracina arrossata (Sedum rubens), achillea gialla (Achillea tomentosa), verbasco porporino (Verbascum phoeniceum), camedrio siciliano (Teucrium siculum subsp. euganeum), crocettona comune: unico sito del Veneto (Cruciata pedemontana), morso del Diavolo (Succisa pratensis), fiordaliso di Trionfetti (Cyanus triumfetti), crotonella coronaria (Silene coronaria), codolina di Bertoloni (Phleum bertolonii), draba murale (Draba muralis), pendolino delle fonti (Montia fontana subsp. chondrosperma). Sono presenti due vistose specie alloctone: il fico d’India nano (Opuntia humifusa) e Opuntia stricta. Propria della flora italiana ma di indigenato molto dubbio sui Colli è lo zafferanetto ligure (Romulea ligustica).

Funghi: La zona è ricchissima di specie fungine, alcune delle quali molto rare nel Distretto Euganeo. Nei boschi di roverella è frequente il chiodino di rovere (Armillaria tabescens). Comune in tutta la zona è la mazza di tamburo (Macrolepiota procera).

Geologia: Un sito di notevole interesse è la cava di M. Croce nei pressi dell’abitato di Battaglia Terme.

Mountain bike: Il percorso è impegnativo e nella parte sommitale del M. Ceva e poco adatto alla percorrenza in mountain bike.

Architettura: Sulla sommità del M. Croce restano visibili poche tracce di un antico edificio ecclesiastico: il Monastero del M. delle Croci. Sorto all’inizio del XIII Secolo, forse per volontà dei Signori da Carrara, il convento ospitò varie comunità monastiche, tra cui, soprattutto, quella locale padovana dei Benedettini Albi. Dopo vari secoli di occupazione, con alterne fortune, versava in grave stato di degrado nella seconda metà del XVII secolo. Vista la situazione, l’allora vescovo, Raimondo, decise di annetterlo, con i suoi beni, al Seminario di Padova. Alla fine del XIX Secolo dell’antico complesso restavano chiaramente riconoscibili i solo resti della chiesa.

All’estrema propaggine orientale del gruppo del Ceva merita sicuramente una visita il monumentale Castello del Cataio, un edificio residenziale, ma dall’aspetto militare, composto di ben 350 stanze. Il palazzo venne edificato durante il XVI Secolo per volontà di Pio Enea I della famiglia degli Obizzi, il cui capostipite, secondo le fonti note, fu Obicio I, un capitano di ventura borgognone giunto in Italia al seguito dell’imperatore Arrigo II, al tempo della guerra contro il Re d’Italia Arduino, avvenuta durante i primi anni del Secolo XI. Il Castello, intorno al 1570, venne affrescato Gian Battista Zelotti, un allievo di Paolo Veronese le cui opere si possono ammirare, all’Abbazia Benedettina di Praglia, in numerose Ville Venete e in alcune chiese. Gli affreschi al Cataio narrano le gesta della famiglia Obizzi nei quattrocento anni di storia precedente l’edificazione della grande villa. Estintasi la Famiglia Obizzi l’edificio all’inizio dell’Ottocento, in seguito, ebbe tra i proprietari Francesco IV di Modena e Francesco Ferdinando, l’arciduca ereditario della Corona d’Austria. Attualmente il Castello è visitabile su prenotazione.

Fauna: Mammiferi. Nel bosco è possibile fare incontri ravvicinati con il daino (Dama dama). L’ungulato, sfuggito alla cattività, in pochi esemplari, da alcuni anni, si è riprodotto con successo formando una piccola popolazione che ora vive allo stato brado.

Uccelli: Sono note in zona, tra le numerose altre, le presenze dell’occhiocotto (Sylvia melancephala), del fiorrancino (Regulus ignicapillus), del fanello (Cardelius cannabina), del sordone (Prunella collaris), del codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros), dell’ortolano (Emberiza hortulana), del torcicollo (Jynx torquilla), della beccaccia (Scolopax rusticola), della bigia padovana (Sylvia nisoria) e della poiana (Buteo buteo).

Etnobotanica: Notevole importanza rivestiva in tutta la zona di Regazzoni la raccolta della “ipia” cioè le radici della trebbia maggiore (Chryspogon gryllus) una poacea dei grandi dimensioni che, sugli Euganei, cresce sui pratelli e nelle chiarie soleggiate, soprattutto su suolo siliceo. La flessibilità della “ipia” permetteva di fabbricare vari tipi di spazzole, da quelle delle lavandaie a quelle per spazzolare il pelo dei muli dell’esercito. Sovente, le spazzole per lavare i panni venivano costruite in casa, durante la stagione invernale, quando erano fermi i lavori agricoli. Dicono i vecchi che la sua raccolta costituisse per alcuni un piccola fonte di reddito.

Valli di Galzignano

Facile passeggiata tra le stradine campestri e le capezzagne.

La zona, ancora largamente acquitrinosa durante l’Ottocento, è stata interamente bonificata nel corso dello scorso secolo. Nelle residue zone umide e nei coltivi, però, si conserva ancora una flora di notevole interesse che annovera alcune entità rare e in pericolo di estinzione nella pianura veneta (in grassetto nel testo): erba pesce (Salvinia natans), giunco fiorito (Butomus umbellatus), mazzasorda a foglie strette (Typha angustifolia), carice palustre (Carex acuta), carice canuta (Carex tomentosacoda di topo arrossata (Alopecurus aequalis), salcerella erba-portula (Peplis portula), porracchia dei fossi (Ludwigia palustris), romice palustre (Rumex palustris), veccia a quattro semi (Vicia tetrasperma), visnaga comune (Ammi majus), crescione d’acqua (Nasturtium officinale), morso di rana (Hydrocharis morsus-ranae), atreplice comune (Atriplex prostrata) ) e lisca prostrata(Schoenoplectus supinus) specie di grandissima rarità in Italia.

A margine delle Valli sorge il M. Lispida, ora non visitabile in quanto area interamente privata, dove, di recente, è avvenuto il ritrovamento di un piccola stazione, disgiunta dall’areale principale, di Asplenium billotii sin. Asplenium obovatum subsp. lanceolatum, una felce a gravitazione tirrenica presente in Toscana, Liguria, Lazio, Sicilia e Sardegna. È assai probabile che a questa specie vada riferita la presenza annunciata per il M. Lispida dal botanico Vettore Trevisan, durante la prima metà dell’ Ottocento, di Asplenium cuneifolium, entità mai più da nessuno ritrovata successivamente nel sito indicato.

Fauna: Anfibi. Sono presenti, tra le varie specie, il tritone crestato (Triturus carnifex) e il rospo smeraldino (Bufo viridis).

Uccelli: La zona, in particolare gli Stagni Ca’ Demia e le zone depresse vicine che vantano una ricca presenza di specie avicole, tra cui vari ardeidi, ha sempre dato grosse soddisfazioni agli amanti del birdwatching. Sono da menzionare: la cannaiola (Acrocephalus scirpaceus), il cannareccione (Acrocephalus arundinaceus), il tarabusino (Ixobrychus minutus), la nitticora (Nictycorax nictycorax), l’airone rosso (Ardea purpurea), il porciglione (Rallus aquaticus), il corriere piccolo (Charadrius dubius), il piro piro piccolo (Actitis hypoleucos), il martin pescatore (Alcedo atthis), il forapaglie (Acrocephalus schoenobaenus) e il pendolino (Remiz pendulinus).

Etnobotanica: L’abbondanza di carici spondicole rendeva, in passato, la zona delle Valli luogo d’elezione per la raccolta del “caresin” per impagliare le sedie. Le foglie delle carici, raccolte e fatte adeguatamente seccare durante la stagione vegetativa, venivano tenute fino al successivo inverno in attesa dell’arrivo dei “caregheta”, i virtuosi costruttori e impagliatori di sedie provenienti dall’Agordino che, in sella alle loro biciclette, armati di strumenti essenziali, percorrevano la Pianura Padana, fino al Piemonte, in cerca di committenti. Questi, accolti in famiglia e ospitati in ripari e giacigli di fortuna, in pochissimo tempo, con grande maestria, costruivano sedie e piccola mobilia domestica. Trascorsa la stagione fredda ritornavano alle tradizionali occupazioni agricole dell’avara montagna bellunese. Il passaparola trasformava il loro arrivo a Regazzoni in un piccolo evento.

Molto in uso erano i “broi” cioè gli steli di alcune specie di giunco, in particolare il giunco comune (Juncus effusus), che serviva a legare i tralci delle viti durante la fase primaverile di sviluppo. Allo stesso scopo, anch’essi detti “broi”, erano destinati gli steli della lisca palustre (Schoenoplectus lacustris).

Piantato lungo i fossati frequentissimo era il salice bianco nella varietà a rami gialli (Salix alba var. vitellina), dai cui rami flessibilissimi si ricavavano le “strope” ottime per legare le fascine e i tralci delle viti. Un altro uso importantissimo dei rami della varietà gialla del salice bianco era quello per fare i cesti. A Galzignano, soprattutto nella zona del Pianzio, alle falde del M. Rua, operavano alcuni artigiani cestai che producevano un materiale di finissima qualità. Per i cestoni di grandi dimensioni, a due manici laterali, le cosiddette “corbe” venivano utilizzati i giovani polloni del castagno, cresciuti dalle ceppaie dei tronchi ceduati.

Di grande utilità era, tra le essenze delle Valli, il sanguinello (Cornus sanguinea), con i cui rami si costruivano rustiche scope molto resistenti adatte a spazzare stalle e aie; la loro particolarità stava nel dosaggio della lunghezza dei rami i quali, opportunamente assemblati, permettevano di ottenere un insieme flessibile autoreggente privo di manico. Un’alternativa alle scope di sanguinello erano le scope immanicate fatte con rametti di erica arborea.

Dicono i Vecchi che durante i periodi di penuria dei carbone, in particolare durante i due ultimi Conflitti Mondiali, per lavorare il ferro all’incudine, si usassero, per il loro alto potere calorico e la lentezza della combustione, le braci ottenute delle ceppaie di erica e corbezzolo.

Il migliore legno per costruire gli zoccoli era quello dell’acero campestre (Acer campestre). Il legno d’acero permetteva, infatti, una perfetta tenuta dei chiodini antiscivolo con la capocchia larga (detti localmente “broche”). Nella parte superiore, inoltre, con l’uso si levigava, consentendo, così, una calzatura confortevole.

Le “sgalmare”. Con il legno di acero campestre era fatta anche la suola di un particolare tipo di scarpa da lavoro detta “sgalmara” in uso fino agli Anni Sessanta dello scorso secolo. I Vecchi, per evocare le tribolazioni patite durante la loro infanzia, nominavano se stessi bambini al tempo in cui indossavano le “sgalmarete”. Il detto era: “Co gero puteo anca mi go portà e sgalmarete; me ricordo co ndavimo sco(l)a co e sgalmarete”. La miseria, più che altrove, a Regazzoni ha scandito senza tregua il tempo delle generazioni.